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La Civiltà della Plastica

 

Se dovessimo definire la nostra civiltà sulla base del materiale più utilizzato, similmente alle epoche remote (civiltà della pietra, del ferro, del bronzo) di sicuro non esiteremmo a definirla: “Civiltà della Plastica”.

Materiale considerato recente e “moderno” ha per molti versi invece una storia che può essere fatta partire dai tempi più remoti. Sin dall’antichità infatti l’uomo ha utilizzato dei veri e propri “polimeri naturali”, come l’ambra, il guscio di tartaruga o il corno.

Gli anni ’60 hanno visto il definitivo affermarsi della plastica come insostituibile strumento della vita quotidiana e come “nuova frontiera” anche nel campo della moda, del design e dell’arte.

Il “nuovo” materiale irrompe nel quotidiano e nell’immaginario di milioni di persone, nelle cucine, nei salotti, permettendo a masse sempre più vaste di accedere a consumi prima riservati a pochi privilegiati, semplificando un’infinità di gesti quotidiani, colorando le case, rivoluzionando abitudini consolidate da secoli e contribuendo a creare lo “stile di vita moderno”.

Materiale considerato recente e “moderno” ha per molti versi invece una storia che può essere fatta partire dai tempi più remoti. Sin dall’antichità infatti l’uomo ha utilizzato dei veri e propri “polimeri naturali”, come l’ambra, il guscio di tartaruga o il corno.

 

 

Ormai avvolge tutto, anche il cibo che mangiamo ogni giorno. Basta pensare che il 90% degli imballaggi alimentari è in plastica, dalle bottiglie dell’acqua alle alici sott’olio, dagli utensili da cucina ai contenitori, ai piatti. 150 anni fa abbiamo creato questo materiale leggero, resistente e poco costoso ma dopo averla creata, ne dipendiamo e affoghiamo nella plastica. Più del 40 per cento è utilizzata una sola volta e poi buttato via. Si pensi al sacchetto di plastica che ha una “vita lavorativa” di soli 15 minuti.

Ogni anno finiscono nei mari dagli 8-12 milioni di tonnellate, calcolando solo la plastica che si riversa in mare dalle regioni costiere, che secondo gli studiosi, proviene prevalentemente, non dalle navi, ma è abbandonata senza riguardi, per terra o nei fiumi, soprattutto in Asia, per poi essere riversata nei fiumi, per poi finire negli oceani sospinta dal vento o trascinata dalla corrente.

La maggior parte della plastica non è biodegradabile e rimane nell’ambiente per centinaia di anni.

Si calcola che un filtro di sigaretta permanga nel mare almeno 5 anni , un bicchiere di plastica  50 anni, una busta di plastica 20 anni, un filo di pesca  600 anni. Secondo i dati del WWF, La plastica rappresenta la quasi totalità dei rifiuti che si rinvengono nel mondo (65-95 %) e principale rifiuto rinvenuto sulle spiagge  e sui sedimenti marini.

Stime recenti riportano che oggi negli oceani del mondo siano presenti oltre 150 milioni di tonnellate di plastica e che senza un’efficacia e rapida azione che ne inverta rapidamente la rotta, si prevede che gli oceani conterranno 1 tonnellata di plastica ogni 3 tonnellate di pesce entro il 2015 ed entro il 2050 ci sarà, in peso, più plastica che pesce. Una prospettiva drammatica che ha fatto gridare al direttore del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ,   nel corso della conferenza Internazionale di Nairobi tenutasi nel Dicembre 2018, è “l’Apocalisse degli oceani”.

Ma come siamo arrivati a tutto questo? Quando abbiamo iniziato ad accorgerci del lato oscuro del miracolo della plastica?

Da quando ha contribuito alla vittoria degli Alleati nella Seconda guerra mondiale – pensiamo ai paracadute di Nylon o ai componenti degli aerei leggeri- la plastica ha cambiato le nostre vite.

E le ha migliorate. Ha reso possibile i viaggi nello spazio  e ha rivoluzionato la medicina. Ha reso più leggeri gli arei e le automobili, riducendo il consumo dei carburanti e l’inquinamento. Le pellicole aderenti e leggere prolungano la conservazione degli alimenti freschi.

Le bottigliette d’acqua usa e getta che forniscono acqua potabile alle popolazioni più povere, con gravi problemi di approvvigionamento  idrico, ogni giorno salvano vite umane. La plastica non e negativa in se’ ma è l’uso sbagliato che ne facciamo. A distanza di 60 anni, quasi il 40% dei 450 milioni di tonnellate di plastica prodotte  ogni anno è monouso,  e, come detto precedentemente, una buona parte è costituita da imballaggi destinati ad essere buttati via pochi minuti dopo l’acquisto.

La produzione è diventata talmente frenetica che , in pratica, quasi la metà della plastica prodotta dall’invenzione del materiale a oggi è stata realizzata negli ultimi 15 anni.  Per fare un esempio la Coca-cola Company, nel 2018, forse la più grande produttrice di bottiglie di plastica del mondo, ha rivelato per la prima volta quante ne fabbrica: 128 miliardi all’anno!

L’Italia , tra i maggiori consumatori Europei (se non primi) di acqua in bottiglie di plastica, Ne consuma:  32 Milioni al giorno! L’Europa è il secondo produttore di materie plastiche al mondo seconda alla sola Cina, riversa nel mare tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macro-plastiche  (quelle visibili) e tra le 70 e 130 mila tonnellate di microplastiche, inferiori a 5 mm ( quelle che destano maggiore preoccupazioni) che hanno la possibilità di entrare nella catena alimentare con possibile impatto sulla salute umana.

Una tale quantità di produzione di questo materiale (quasi interamente prodotta da fonti fossili, come petrolio greggio e gas naturale), determinata soprattutto dalle economie in crescita dell’Asia, ha di gran lunga superato la nostra capacità di gestione dei rifiuti ed il mare ne ha fatto le spese.

Con una crescita del genere qualunque sistema sarebbe andato in tilt. In un articolo pubblicato sulla rivista “Nature”  del 2014 un gruppo di scienziati ha espresso un nuovo giudizio sulla vita all’insegna dell’usa e getta, sostenendo che la plastica non dovrebbe essere considerata un’amica delle casalinghe bensì un materiale pericoloso.

Le correnti che vorticano negli oceani hanno creato: due isole di Plastica nel Pacifico, due nell’Atlantico, una  nell’Indiano. Si tratta di aree di ammassi di plastica estese per milioni di km quadrati.

A queste aree, si aggiunge Il Mar Mediterraneo, tristemente classificato come la sesta  grande zona di accumulo di rifiuti plastici al mondo. In questo mare, che rappresenta solo l’1% delle acque mondiali ma nel quale  si concentra il 7% della microplastica mondiale!

Il Mar Mediterraneo è un bacino chiuso , circondato da tre continenti con una intensa attività umana, il che lo rende uno tra  i mari più a rischio del mondo per  inquinamento da plastica con grave impatto su importanti settori economici come la pesca e turismo. Si calcola che le perdite economiche per anno riguardante la pesca sia di circa 61.7 milioni.

Spiagge e porti sporchi scoraggiano il turismo determinando perdite di posti di lavoro e ingenti costi di pulizia.

Questo drammatico inquinamento da plastica causa gravi danni alla fauna selvatica marina (oltre il 90%). A livello globale sono circa 700 le specie marine, di queste il 17% è elencato come “minacciato” o “in pericolo critico” di estinzione come la foca monaca delle Hawaii, la tartaruga Carretta Carretta, e la berta grigia. Funi, reti da pesca abbandonate, ma anche lacci ad anello e imballaggi, si aggrovigliano intorno agli animali intrappolandoli ed in alcuni casi costringendone parti del corpo.

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344 le specie intrappolate nella plastica globalmente. Nel Mar Mediterraneo 134 specie marine sono vittime d’ingestione di plastica. 1 tartaruga su 2 ha ingerito plastica. Sempre più frequenti sono gli spiaggiamenti di cetacei, morti per ingestione di plastica.

Il Mediterraneo presenta una speciale area marina: il SANTUARIO DEI CETACEI i quali (globicefali, Balene, delfini Capodogli ecc.) sono esposti alla grande concentrazione di plastiche (macro e micro ) oltre al pericolo derivante dalle imbarcazioni che ne causano ferimenti e decessi. Quella della plastica è solo una delle tante emergenze ambientali globali che l’umanità dovrà affrontare con determinazione e  non  più procrastinabili. Riscaldamento globale, acidificazione degli oceani, riduzione della biodiversità marina e terrestre, desertificazione, sono solo alcune delle grandi sfide cui l’umanità dovrà dare priorità assoluta con continuità e determinazione.

Vorrei ricordare che il mare rappresenta una risorsa inesauribile di potenziali nuove molecole attive nell’area oncologica, cardiologica, infettivologica, nel dolore cronico , neurologica  ed altre aree terapeutiche,  Ridurre le specie marine vuol dire privarci anche di future cure farmacologiche. Per fare alcuni esempi:

Antitumorali: 14000  composti farmacologicamente attivi estratti da organismi marini ed il 4%  delle specie marine contiene molecole ad attività antitumorale

Antibiotici: gli antibiotici del futuro arriveranno dagli abissi marini

Come affermava Albert Einstein: ”Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata”

L’inquinamento da plastica è un problema globale causato principalmente dall’eccessivo consumo di questo materiale ubiquitario, resistente, flessibile  e da una cattiva o la mancata gestione dei rifiuti. Il problema può essere affrontato ma a diversi livelli: Istituzioni Internazionali e Nazionali, Imprese e individui. Negli ultimi tempi è  aumentata la consapevolezza e  l’impegno nell’affrontare   questa grave emergenza ambientale.

Il Parlamento Europeo ha approvato a maggioranza la Direttiva che a partire dal 2021vietera’ la vendita di alcuni articoli di plastica usa e getta come: posate, cotton fioc, piatti, cannucce, palloncini, palette, miscelatori per bevande e bastoncini che sorreggono i palloncini.

Molti oggetti materiali iniziano a essere prodotti con sostanze biodegradabili.

I cittadini nella quotidianità hanno un ruolo cruciale nel ridurre l’uso e getta seguendo alcuni criteri come: 1) scegliere , quando possibile, oggetti fatti con materiale alternativi alla plastica, biodegradabili o riciclati (es: tovaglie in cotone, piatti , bicchieri di ceramica, spugne per pulire in cellulosa, tappetini per lo sport in fibra di bambù);

2) evitare prodotti usa e getta. Preferire per esempio spazzolini o rasoi con testine intercambiabili;3) conservare gli alimenti senza plastica. Ottimo sostituto è il vetro, materiale inerte, che, a differenza della plastica, non rilascia contaminanti;

4) evitare saponi e prodotti cosmetici che contengano plastiche;

5) acquistare alimenti sfusi (frutta, verdura, formaggi, carne, pesce e detersivi alla spina. Se non disponibili scegliere  le eco-ricariche in modo da evitare l’imballaggio;

6) effettuare la raccolta differenziata seguendo le regole del Comune/città in cui si vive;

7) attivarsi per sensibilizzare i negozi, supermercati e i comuni di appartenenza per ridurre urgentemente la plastica inutile e promuovere la sostenibilità.

8) essere cittadini responsabili: non gettare i rifiuti sulle spiagge e nell’ambiente (inclusi i mozziconi di sigarette) per evitare di inquinare  e per garantire un futuro migliore a chi verrà dopo di noi.

Per finire, sicuramente l’approccio più responsabile per ridurre l’inquinamento da plastica  è rappresentato dal modello di “Economia Circolare” in cui tutto deve essere riusato o riciclato e non sono ammesse dispersione nell’ambiente di alcun tipo di materiale.

Tuttavia il riciclaggio da solo non può risolvere il problema. Importante è l’adozione di  stili di vita, orientati ad  un rispetto continuo e consapevole dell’ambiente, usando  il meno possibile la plastica usa e getta.

di Enzo Salzano
Ricercatore C.R.O. Syneos Health
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°196
AGOSTO 2019

  • luciano luciano
  • Aprile 20, 2022